Un tuffo nel presente

Roberto Beccantini20 settembre 2014

Sequestro di partita. La Juventus ha spento il Milan come fosse un fiammifero. La scorsa stagione, a San Siro, vinse 2-0 ma per un tempo, almeno, aveva sofferto molto di più. Questa volta, ha dominato. Un solo brivido: il botta e risposta Buffon-Honda, prima palla gol della notte, la sola del Milan.

Lo scarto maschera una differenza schiacciante. Pure io, al posto di Inzaghi, avrei concesso il centro del ring agli avversari. Non mi sarei però limitato a rimbalzare da una corda all’altra. La Juventus non è la Lazio, e nemmeno il Parma. L’elogio della lentezza sciolto da Allegri, ne fa una paziente borghese che circonda e sfinisce i rivali. Il pericolo è lo specchio, il tocco in più, o eventualmente i riccioli del destino, come il palo di Marchisio.

Pereyra e Pogba si sono divisi la torta: all’argentino il primo tempo, al francese il secondo, con la ciliegiona dell’assist antologico a Tevez, marcato da Honda (!). Nessuna notizia del falso nueve: El Shaarawy spazzato via, Honda risucchiato, Ménez a piccole folate: da giallo il fallo su Pereyra e il tuffo in area, agli sgoccioli; Ponzio Rizzoli se n’è lavato le mani.

Il Milan non è riuscito a mettere il naso fuori, la Juventus non riusciva a mettere il becco dentro. Llorente, ormai, gioca spalle alla porta, un po’ pivot e un po’ vigile, visto il traffico di inserimenti che deve propiziare e/o incanalare. Tevez sembrava sulla luna, fino a quando non è atterrato, d’improvviso, sul passaggio di Pogba. In tre partite, il Milan ha preso sei gol, la Juventus zero. E’ un dato che uccide le statistiche relative all’attacco (Milan 8, Juventus 4).

Una curiosità. Pochi i cross alti: sia per il navarro, sia per Pazzini e Torres, nel finale. Catenaccio «y» torello: pensavo che le ruggini Champions avrebbero inciso di più.

Roma squadra aperta

Roberto Beccantini18 settembre 2014

Dall’ultima mezz’ora della Juventus alla prima mezz’ora della Roma. Si stappano titoli che, sommati alle doppiette della Nazionale e della Under, fanno pensare a un calcio in salute e non più in crisi. Calma, fratelli di tiratura. La Champions è ai primi morsi, Malmoe e «Csko» Mosca erano i bocconi più teneri.

Garcia è l’allenatore che avrei voluto al posto di Conte. Applica un calcio tatticamente ambiguo, di lotta e di governo, e proprio per questo incarta. «Non fidarti dei russi», si era raccomandato Capello dalle colonne della «Gazzetta». Nessuno è perfetto.

Lo stile Juventus contempla due attaccanti classici, un vero nove (Llorente) e un falso dieci (Tevez). Lo stile Roma, viceversa, prescinde dai tralicci (Borriello, Destro) e sfodera al fronte il tridente che la Signora piazza in trincea. Gervinho, Totti, Iturbe. Più Pianjic e Maicon. Adelante, Pedro (ma con giudizio). Riferimenti ridotti al minimo, sgassate da MotoGp: Gervinho, soprattutto. L’impatto è stato devastante: 4-0 in trentun minuti, per un totale di 5-1. Dare campo al Bolt ivoriano significa votarsi al suicidio. La Juventus non lo fece, e proprio male non le andò.

Credo che la Juventus sia ancora più squadra, dopo che la staffetta in panchina ha risvegliato, nei giocatori, la voglia di migliorarsi. Rispetto ad Allegri, però, Garcia può giocarsi la carta del contropiede. Bene hanno fatto, i romanisti, a curare la differenza reti. Se ne parla sempre poco, potrebbe risultare preziosa.

Con Atletico-Juventus e Manchester City-Roma si entra nel vivo. La Roma non frequentava la Champions da tre anni e, dunque, non ha senso azzardare paragoni. La Juventus cominciò l’ultima edizione con tre pareggi e una sconfitta. Cosa valgono gli scalpi di Malmoe e Cska? Non molto, temo, ma intanto ci fanno sembrare vivi.

Lentamente

Roberto Beccantini16 settembre 2014

Dietro la laboriosa vittoria sul Malmoe ho colto, nella Juventus, una tevezizzazione fin troppo plateale. Vero nueve e falso diez, alla Ibra (che Allegri ebbe nel Milan, toh). Con gli svedesi così catenacciari, i suoi movimenti «incontro» hanno solcato e agitato la noia di certi piatti unici, fino alla magia del tacco propiziatorio di Asamoah. E alla punizione liberatoria, quasi in coda ai titoli di coda.

Già con Conte Tevez era salito sul podio dei gol e aveva piegato gli equilibri al suo spirito guerriero. Questa volta, è andato oltre. Molto oltre. Degli avversari, almeno per un’ora, la Juventus ha patito la fisicità e i lanci lunghi, gli stessi che, made in Malines, imprigionarono il Milan di Sacchi. Scritto che il 3-2 dell’Olympiacos all’Atletico Madrid ha scosso i fragili equilibri del gruppo, e detto dei cambi di Allegri, tutti a ritardo debito, aggiungo quanto segue.

In campionato, meglio i primi tempi. In Champions, meglio il secondo. In generale, più gestione e meno passione. Palle gol concesse a Chievo, Udinese, Malmoe: una a testa. Pogba a piede libero, Marchisio in versione lucchetto. Per Llorente, più cross radenti che alti. Asamoah centrale (quanti tiri!) ed Evra ala sinistra non mi hano entusiasmato. E’ finita così, e allora i ritmi lenti sono stati calcolo, pazienza, maturità. Fosse finita pari, avremmo parlato di pigrizia, di tirchieria, di carenza di personalità. I morsi di Morata lasciano sempre un non so che di «vedrai, vedrai».

L’ala destra della Juventus è un terzino, Lichtsteiner. Da Conte ad Allegri, nulla è cambiato (su questo versante). «In tre anni ancora non si è capito che senza ali e senza dribbling in Europa non si va lontano», scriveva il gentile Nino sullo zero a zero. Il ragionamento mi è caro. Felicissimo(i) di essere smentito(i).